“ANDRÀ TUTTO BENE”


FORÇA I CORATGE !!!
TOT ANIRÀ BÉ


FUERZA Y CORAJE !!!
TODO IRÁ BIEN




“ANDRÀ TUTTO BENE”
FORÇA I CORATGE !!!
TOT ANIRÀ BÉ
FUERZA Y CORAJE !!!
TODO IRÁ BIEN
La visita che avrebbe dovuto avvenire domani venerdì è stata definitivamente cancellata perché il Parlamento delle Isole Baleari è stato chiuso al pubblico.
Ci dispiace molto.
Ricetta facile per 8 persone. Preparazione 45 minuti. Cottura 45 minuti.
INGREDIENTI:
PER LA BASE:
240 g di zucca lessata e passata al setaccio
90 g di zucchero di canna
0,5 dl di olio semi + quello per la teglia
110 g di farina
1 cucchiaio di amido di mais
3 cucchiai di cacao amaro
1/2 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio
PER IL TOPPING:
240 g di zucca lessata e passata al setaccio
2 cucchiaio di amido di mais
1 baccello di vaniglia
30 g di zucchero di canna
3 cucchiai di latte di mandorle
2 cucchiaini di spezie miste (cannella, zenzero, noce moscata) in polvere
60 g di cioccolato fondente
PER IL CRUMBLE:
0,5 dl di olio di semi
50 g di zucchero di canna
60 g di farina
60 g di mandorle (o noci) tritate
ELABORAZIONE:
Per la base, mescola nel mixer 240 g di zucca lessata e passata al setaccio, 0,5dl di olio di semi (a scelta) e 90 g di zucchero di canna. Incorpora 110 g di farina setacciata con il cacao, 1 cucchiaio di amido di mais, il bicarbonato di sodio e il sale.
Rivesti di carta da forno una teglia rettangolare (circa 20×25 cm) e ungila leggermente d’olio. Versa l’impasto e pareggiatelo con una spatola.
Per il topping, incidete per il lungo la vaniglia e ricava i semini. Amalgama in una ciotola 240 g di zucca lessata e passata al setaccio con i semini di vaniglia, il latte di mandorle, 2 cucchiai di amido di mais, 30 g di zucchero di canna e le spezie (cannella, zenzero, noce moscata).
Spalmate la crema ottenuta sopra lo strato al cacao. Spezzetta il cioccolato e cospargetelo sullo strato di crema.
Per il crumble, mescolate 60 g di farina con l’olio, 50 g di zucchero di canna e le mandorle (o le noci) tritate, formando grosse briciole. Distribuisci il crumble sopra gli altri strati.
Cuocete a 180° per 45 minuti circa. Lascia intiepidire, poi trasferisci la teglia in frigo e fai raffreddare per almeno 2 ore o, meglio, fino al giorno successivo.
Togliete dal frigo una decina di minuti prima di tagliare a quadrotti e servire.
BUON APPETITO!!!
Il cuoco
(*)Ricetta fatta nel workshop di cucina italiana «Il buono della zucca» del Gruppo Culturale Italiano di Maiorca. Marzo 2020. Estratto dal libro Il Meglio di Sale&pepe collection (MONDADORI).
Foto: Magda R
Venerdì 13 marzo 2020 ALLE ORE 17:00
via Palau Reial, 8 (sotto gli archi)
La visita al Parlamento baleari sarà a cura di Joan Ferrer (storico dell’arte e deputato del PSIB-PSOE)
È necessario iscriversi
si prega di utilizzare l’indirizzo mail
VELLUTATA DEI GONZAGA
LA CUCINA MANTOVANA RAPPRESENTÒ UN PUNTO DI RIFERIMENTO IN EUROPA
Mantova è una città dove la cucina è (anche) cultura, con radici importanti che tanti ignorano, espressi perfettamente dalla filosofia ‘Di popolo e di corte’ che animò il periodo d’oro dei Gonzaga. Tra il XV e il XVII secolo, la cucina mantovana rappresentò un punto di riferimento in Europa: i cuochi del Ducato furono i primi a saper coniugare piatti decisamente popolari con quelli elaborati, creando una scuola di pensiero gastronomico, codificata da Bartolomeo Sacchi. Il suo trattato ‘De honesta voluptate et valetudine’, pubblicato a Venezia nel 1474, si diffuse in tutte le corti e al di là delle grandi ricette conteneva una novità assoluta: insegnava l’uso delle risorse del territorio, a seconda delle stagioni, anticipando concetti oggi abituali.
La corte, grazie a cuochi straordinari come Bartolomeo Stefani – autore nel 1662 de “L’arte di ben cucinare”, uno dei primi testi sacri della cucina italiana- preparava banchetti sontuosi, utilizzando il meglio del territorio. Il popolo viveva di zuppe ma aveva le sue specialità come il lardo pestato con prezzemolo e aglio, buonissimo con la polenta, o il risotto alla ‘pilota’, che ancora oggi è il banco di prova di ogni cuoco mantovano di nome o di fatto. Niente a che fare con la guida: questo piatto deve il nome agli operai addetti alla pilatura del riso chiamati appunto “piloti”: è riso Vialone Nano cotto per assorbimento, condito con salamella mantovana e grana. Per la cronaca, la ‘capitale’ di questo piatto è considerata Castel d’Ario – borgo distante 20 km dalla città dove è nato Tazio Nuvolari – dove ha ricevuto una De.Co. a difesa della ricetta.
E poi si passa ai tortelli di zucca su cui ogni angolo di Padania – da Ferrara a Crema – vanta la superiorità. “E’ divertente constatare che man mano che procedi da Est verso Ovest, aumenta la componente di amaretti e mostarda – spiega Antonio Santini, mitico patron del Tre Stelle Michelin Dal Pescatore, che si trova a Canneto sull’Oglio, a sud di Mantova – mentre da noi la zucca e il Parmigiano Reggiano hanno più peso.” La carta dei Santini ha altri richiami al territorio come il pesce d’acqua dolce che i principi facevano arrivare dal Garda quando non lo recuperavano tra Oglio e Mincio o dai tre laghetti interni. “Proponiamo il luccio in bianco con la salsa o i gamberi di fiume. Un altro grande piatto è il risotto con i filetti di pesce gatto ed erba cipollina: sono ottimista, tra qualche anno lo torneremo a pescare dall’Oglio, come un tempo: le nuove generazioni sono molto più attente al territorio e all’ambiente”.
UN PO’ DI STORIA
Dovete sapere che i Gonzaga, signori di Mantova, una delle più note famiglie principesche d’Europa, protagonisti della storia italiana ed europea dal 1328 al 1707, non si erano sempre chiamati così e non erano di famiglia nobile.
Il loro vero cognome era Corradi, divenuto poi Gonzaga perché risiedevano in quel paese di campagna del basso mantovano.
In questa famiglia, divenuta molto ricca grazie all’allevamento di cavalli di razza e con possedimenti di terreno molto estesi, il primo ad ottenere il potere fu un certo Luigi.
Costui, all’alba del 16 agosto 1328 mandò all’interno della città alcune truppe dell’esercito di Mantova e di Verona al comando dei figli Guido, Filippino, Feltrino e del genero Guglielmo.
I soldati ricevettero l’ordine di vestirsi da mercanti, mendicanti e viandanti e di radunarsi all’alba in piazza Sordello. Così fecero e, mentre la popolazione di Mantova doveva ancora svegliarsi, ad un cenno dei comandanti i soldati iniziarono a gridare “Viva Gonzaga e Paserino mòra” (Viva i Gonzaga e Passerino muoia); quest’ultimo era il soprannome di Rinaldo Bonacolsi, allora signore di Mantova.
Costui, non capendo bene cosa stesse succedendo e credendo si trattasse di ragazzacci, uscì imprudentemente in piazza, orgogliosamente seduto sul suo destriero, pensando che la sua presenza sarebbe stata sufficiente a placare la rivolta. Venne invece trafitto da una freccia lanciata da Albertino da Saviola, fedelissimo dei Gonzaga.
Rientrò velocemente a palazzo, ma arrivato sulla soglia, il cavallo ebbe un brusco sussulto e Passerino, abbandonato sulla sella a causa della ferita, morì sbattendo la testa contro lo stipite della portone.
Per celebrare la vittoria Luigi Gonzaga ordinò che in chiesa venisse cantato un “Te Deum”.
La leggenda vuole che mentre Luigi I assisteva alla funzione, si avvicinò a lui una vecchina, che in realtà era una strega, la quale gli predisse che i Gonzaga avrebbero avuto fortuna fintantoché avessero tenuto con sé un esponente dei Bonacolsi.
Luigi allora, che non aveva nessuna intenzione di tenere presso di sé alcun discendente dei suoi nemici, escogitò un ingegnoso stratagemma per soddisfare le richieste della vecchina: fece imbalsamare il cadavere di Passerino e lo tenne nel palazzo Ducale come portafortuna.
Si dice poi, che l’ultima duchessa dei Gonzaga, impressionata da quel cadavere mummificato che si trovava in bella vista nel castello di San Giorgio, lo fece gettare nel Mincio, decretando così la fine della dinastia di questa famiglia e del loro potere sulla città di Mantova
RICETTA VELLUTATA DEI GONZAGA
VELLUTATA DEI GONZAGA
450 g di zucca
2 tuorli
50 g di farina di mandorle
8 dl di brodo vegetale
2 arance
parmigiano reggiano grattugiato
pane tostato
cannella in polvere
qualche rametto di coriandolo
50 g di burro
aceto di vino bianco
sale e pepe
Lavate la zucca, provatela dei semi, ricavate dal bordo qualche fettina con la buccia e tenetela da parte. Eliminate la scorza dalla zucca rimasta, tagliate la polpa a pezzetti, copriteli con il brodo caldo e fate sbollire per 12-15 minuti, mescolando di tanto in tanto, finché la zucca comincerà a disfarci. Frullate la zucca con il mixer a immersione.
Scaldate in una padella 30 g di burro e tostatevi la farina di mandorle; unitevi la crema di zucca preparata, mescolate, scaldate la vellutata ottenuta e, se necessario, diluitela con 1 mestolino di brodo caldo.
Lavate la arance e grattugiate 1 cucchiaino di scorza. Spremetele e unite il succo alla vellutata. Un attimo prima di toglierla dal fuoco, incorporate i tuorli; salate, pepate, unite anche la scorza d’arancia e spegnete.
Fate fondere in un padellino antiaderente il burro rimasto con lo zucchero e l’aceto. Quando lo zucchero si sarà sciolto e risulterà ambrato, fatevi caramellare le fettine di zucca tenute da parte per circa 1 minuto.
Distribuite la vellutata in ciotole individuali e completate con le fettine di zucca caramellate, un pizzico di cannella e il coriandolo. Servite con il pane tostato e il parmigiano grattugiato a parte.
Buon appetito !!!
SCRIVERE IN ITALIANO
Ritorna lo spazio “Scrivere in italiano”. In questa occasione un anonimo sotto il titolo
“IL CENACOLO O L’ULTIMA CENA”
Nome: Il Cenacolo o L’Ultima Cena
Autore: Leonardo da Vinci
Data: 1494-1498
Tecnica: affresco fatto con tempera e dipinto (olio)
Supporto: muro con due strati di preparazione dell’intonaco sparsi su stuccatura.
Misure: 460 cm. altezza per 880 cm. di larghezza
Luogo: sala da pranzo dei monaci (refettorio) del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie (Milano).
Il Cenacolo o L’Ultima Cena è un dipinto murale originale di Leonardo da Vinci incaricato dal protettore del convento, il duca Ludovico Sforza a Milano
Storia
Si crede che nel 1494 il duca di Milano Ludovico Sforza, detto «il Moro», commendò a Leonardo un affresco per il refettorio della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie. Questo spiegherebbe gli stemmi ducali dipinti in alto.
Alla fine, il dipinto è stato elogiato come un capolavoro di disegno e caratterizzazione. Ma si è anche denunciato che appena finito si stava staccando dal muro. Sfortunatamente, l’uso sperimentale dell’olio sul intaccato secco recò danni e problemi tecnici che portarono al suo rapido deterioramento intorno al 1500. Leonardo, invece di usare l’affidabile tecnica dell’ affresco, la quale esigeva una velocità di esecuzione impossibile da parte sua, aveva sperimentato diversi agenti agglutinanti del dipinto, che furono danneggiati dalla muffa con la formazione di efflorescenze.
Dal 1726 sono stati effettuati senza esito numerosi tentativi di restauro e conservazione, e nel 1977 è stato avviato un programma, che utilizzando le più moderne tecnologie sembra abbia apportato alcuni miglioramenti.
La pittura è rimasta come una delle opere d’arte più riprodotte, con innumerevoli copie realizzate su ogni genere di oggetto: dalle passatoie ai gioielli.
Analisi
Leonardo ha dipinto, magari suggerito dai Domenicani, un momento molto drammatico. Rappresenta la scena dell’ultima cena di Gesù di Nazareth, quando annuncia che uno dei suoi dodici discepoli lo avrebbe tradito. Questo provoca costernazione tra i dodici seguaci di Gesù e questo è il momento che Leonardo rappresenta cercando di riflettere i «movimenti dell’anima», le reazioni individualizzate di ciascuno degli apostoli: alcuni sono sorpresi, altri si alzano perché non lo hanno sentito bene, altri hanno paura e, infine, Giuda, si ritira perché nota l’allusione.
Leonardo si allontanò dalla tradizione iconografica che indicava chiaramente la figura di Giuda, il traditore, e lui la include fra il resto degli apostoli. La figura di Gesù (triangolare) si trova nel centro, in cui convergono tutte le linee di fuga. A entrambi i lati di Gesù, isolati e anche loro disposti in forma triangolare, ci sono gli apostoli, raggruppati di tre in tre.
Il tavolo con i tredici personaggi è incorniciato in un’architettura classica rappresentata con precisione attraverso la prospettiva lineare, in particolare centrale, in modo che sembra espandere lo spazio del refettorio come se fosse un artificio. Si ottiene per mezzo della rappresentazione del pavimento, il tavolo, gli arazzi laterali, le tre finestre del fondo o, infine il soffitto a cassettoni sul tetto. Questa costruzione in prospettiva è ciò che distacca di più nel dipinto.
La scena sembra illuminata dalla luce delle tre finestre del fondo, nelle quali si intravede un cielo crepuscolare. Attraverso alcuni ricorsi di prospettiva, la pittura sembra mostrare un’altra camera contigua alla sala da pranzo.
Personaggi
I 12 apostoli sono divisi in quattro gruppi di 3 che lasciano Cristo relativamente isolato. Analizzando da sinistra a destra, secondo le teste, vediamo: Bartolomeo, Giacomo il Minore e Andrea nel primo gruppo; nel secondo, Giuda Iscariota con i capelli neri e la barba, il cui tradimento spezza la triade, lasciandolo fuori, Pietro e Giovanni, l’unico imberbe del gruppo; Cristo nel centro; Tommaso, Giacomo il Maggiore e Filippo, anche lui senza barba nel terzo gruppo; Matteo, apparentemente senza barba o con una barba affilata, Giuda Tadeo e Simone il Celote nell’ultimo. Tutte le identificazioni provengono da un manoscritto autografo di Leonardo trovato durante il XIX secolo.
Misteri
La Cena di Leonardo ha molti dettagli sconcertanti e per gli amanti della crittografia, questo affresco nasconde un messaggio celato e inquietante: non mostra il calice, né Cristo che impartisce il sacramento dell’Eucaristia. I discepoli sono infatti i ritratti di importanti eterodossi del tempo di Leonardo e, inoltre, non hanno un’aura di santità, li dipinge deliberatamente umani; Leonardo si è autoritratto nella Cena dando le spalle a Gesù, come prendendo posizione contro la versione ufficiale della Chiesa. Non è una cena pasquale, come dicono i vangeli, non c’è carne sul tavolo, solo pesce e poco di più.
Andiamo ai misteri: cosa fa un coltello minaccioso nella zona di sinistra e chi lo porta?
Perché il secondo apostolo della sinistra è uguale a Gesù, anche nei vestiti? Questo allude alla convinzione che Gesù avesse un fratello gemello? Chi è en realtà la persona que si trova alla sinistra di Gesù? Non è troppo femminile per essere un apostolo? È Maria Maddalena o il giovane apostolo Giovanni?
È interessante notare che, facendo un esercizio visivo, si può vedere che i tre personaggi – Gesù, la presunta Maria Maddalena e il suo presunto figlio nascosto nel dipinto – si uniscono perfettamente attraverso lo stesso colore celeste delle loro vesti. Sia il lato sinistro di Gesù, sia il lato destro di Maria Maddalena e il bambino sono di colore celeste. Maria Maddalena è situata perfettamente tra Gesù e gli altri apostoli a destra e guarda apparentemente verso suo figlio.
NUOVO LIBRO DI FRANCO MIMMI IN SPAGNOLO
Pasiones -3 Venecia otra vez
Viejo, sucio, borrachín: el gran escritor Friedrich Schwarzenhagger, silente desde hace año,s ha caído en el olvido y es la sombra de si mismo. El narrador, que fue su biógrafo y que gracias a aquella biografía se abrió camino en el mundo literario, lo encuentra un día por azar en Venecia y lo acompaña de callejón en plazuela, de canal en canal, del Puente de Rialto a la Plaza de San Marcos y, sobre todo, de bar en bar, porque también su vena se ha secado y ve en este encuentro la posibilidad de una historia que le consienta remontar la corriente.
Pero no es el único en seguir al viejo escritor. Un joven vestido de lino blanco, cegador en el sol de Venecia, le persigue: quizás un émulo que quiere comprender sus secretos literarios, o quizás el fantasma de su inspiración que, a pesar de los años y la decadencia, desearía alcanzarlo y retomarlo en nombre del gran Arte que no se concede a todos.
https://www.amazon.es/Venecia-
NUOVO LIBRO DI FRANCO MIMMI
Passioni -3 Ancora Venezia
IL VERO E IL FALSO ARTISTA
Vecchio, sporco, avvinazzato: il grande scrittore Friedrich Schwarzenhagger, silente da anni e caduto nell’oblio, è l’ombra di se stesso. Il narratore, che fu suo biografo e grazie a quella biografia si fece strada nel mondo delle lettere, lo incontra un giorno per caso a Venezia e lo insegue di calle in campiello, di canale in canale, dal ponte di Rialto a Piazza San Marco, e soprattutto di bar in bar, perché anche la sua vena si è inaridita e vede in questo incontro la possibilità di una storia che gli consenta di risalire la corrente.
Ma non è l’unico a seguire il vecchio scrittore: un giovane vestito di lino bianco, abbagliante nel sole di Venezia, lo perseguita: forse un emulo che vuole carpire i suoi segreti letterari, forse il fantasma della sua ispirazione che nonostante gli anni e la decadenza vorrebbe raggiungerlo e riprenderlo, in nome della grande Arte che non a tutti è concessa.
Cocktail all’anguria e lime
La lista degli ingredienti
1 kg di polpa di anguria, il succo di 1 lime, 1 o 2 cucchiai di zucchero (facoltativo)
Prepariamolo insieme
Laviamo l’anguria, priviamola della buccia e dei semi e tagliamola a pezzettoni. Riponiamoli nel boccale del frullatore insieme al succo di un lime ed avviamolo sino ad ottenere il succo – chi lo desidera potrà zuccherarlo a proprio piacimento. Serviamo in un bicchiere insieme a qualche fogliolina di menta e con del ghiaccio.
Buon appetito!!!