SA DRAGONERA 26/9
CI DISPIACE
POSTI ESAURITI
LA PROSSIMA ESCURSIONE SARÀ SABATO 31 OTTOBRE
VI ASPETTIAMO !!!
SA DRAGONERA 26/9
CI DISPIACE
POSTI ESAURITI
LA PROSSIMA ESCURSIONE SARÀ SABATO 31 OTTOBRE
VI ASPETTIAMO !!!
ABRUZZO E MOLISE
IL MAR DEI TRABOCCHI
Calette, promontori e alte scogliere si alternano a lunghe spiagge sabbiose da Ortona a Termoli, lungo la costa adriatica, regalando paesaggi, tradizioni artigianali e sapidi piatti marinari.
La tradizione casearia regala caciocavallo, scamorza, giuncatella e deliziosi pecorini, come il canestrato di Castel del Monte. Ed i perciatelli al nero di seppia.
PERCIATELLI AL NERO DI SEPPIA (*)
500g perciatelli
150 g pomodorini
4 grosse seppie
3 filetti di acciuga sott’olio
prezzemolo -basilico -aglio
olio extravergine di oliva
sale
ELABORAZIONE:
Tagliate i pomodorini a spicchi. Lavate le seppie e pulitele privandole accuratamente dei visceri e dell’osso. Separate i ciuffi di tentacoli dalle sacche di nero, che conserverete.
Tagliate a pezzi le seppie e tenete da parte qualche ciuffo di tentacoli.
Tritate 2 spicchi di aglio e un ciuffo di prezzemolo. Rosolate tutto in padella con 2 cucchiai di olio e 3 filetti di acciuga.
Aggiungete al trito rosolato le 4 sacche di nero e un cucchiaio di acqua per allungare il sugo.
Unite nella padella anche i pomodorini, tenendone qualcuno da parte per la decorazione. Cuocete a fuoco vivo per 15’.
Aggiungete anche le seppie tagliate a pezzi facendo cuocere per 3’ i ciuffi e per 1’ e mezzo i corpi.
Fate bollire abbondante acqua salata. Unitevi i ciuffi tenuti da parte e cuoceteli per 3’, aggiungete quindi i perciatelli.
Cuocete la pasta al dente e scolatela.
Conditela con il sugo al nero di seppia e servite con i pomodorini tenuti da parte e un po’ di basilico.
Buon appetito!!!
Il Cuoco
(*)Il perciatelli sono una varietà di pasta secca di grano duro simile ai bucatini, ma con diametro maggiore. Ricetta tratta dalla rivista La Cucina Italiana.
Da fine maggio a luglio inoltrato nel Parco Nazionale del Monti Sibillini va in scena uno spettacolo mozzafiato. Comincia con un verde abbagliante, poi è la volta del giallo dei ranuncoli, quindi tocca al rosso dei papaveri all’azzurro dei fiordalisi, sono centinaia le specie che sbocciano sui piani carsici di Castelluccio; a chiudere, il bianco e il viola dei fiori di lenticchia.
Una terra dai mille colori. Umbria. In questa regione si trovano lungo le valli dove scorrono i principali fiumi della regione: Il Tevere, Il Nera, Il Topino.
Perugia, Assisi, Todi, Orvieto, Gubbio o Spoleto, per nominare solo i più conosciuti città.
«Spoleto è la scoperta più bella che ho fatto in Italia» , parole di Hermann Hesse.
Ingredienti:
300g lenticchie di Castelluccio di Norcia
150 g pomodorini
1 cipolla
1 carota
1 spicchio di aglio
1 patata
½ gambo di sedano
concentrato di pomodoro
olio extravergine di oliva
sale -pepe
Elaborazione:
Per la ricetta della zuppa di lenticchie di Castelluccio di Norcia Igp, sciacquate bene le lenticchie sotto l’acqua corrente. Tagliate la patata a cubetti di 5 mm, tritate la cipolla, la carota e il sedano. Schiacciate l’aglio ma non toglietene la buccia. Rosolate tutto in una casseruola, con un filo di olio per 5’.
Aggiungete le lenticchie e fatele tostare a fiamma vivace per altri 5’. Togliete l’aglio e unite un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Versate nella casseruola acqua fredda sufficiente a coprire tutti gli ingredienti e cuocete, con il coperchio, per 35’, salate e pepate verso fine cottura.
Tagliate i pomodorini in 4 spicchi e fateli rosolare in una padella con poco olio per 5’. Servite la zuppa di lenticchie completando con qualche spicchio di pomodorino.
Buon appetitto !!!
Il Cuoco
(*)Ricetta tratta dalla rivista La Cucina Italiana.
Dal cuore della Puglia, un primo piatto ricco e gustoso che piace sempre a tutti: impariamo a fare le orecchiette alle cime di rapa seguendo la tradizione.
ORECCHIETTE ALLE CIME DI RAPA
CIME DI RAPA
Sono le infiorescenze di un ortaggio coltivato anche in Campania e Lazio, dove prendono il nome di friarielli o broccoletti. Lessate hanno sapore dolce, cotte in tegame hanno un gusto deciso, piuttosto amarognolo.
Le orecchiette con cime di rapa sono un primo piatto tipico della cucina pugliese, fatto di ingredienti genuini: farina e acqua per le orecchiette e gustose verdure per il condimento. Questa ricetta semplice della tradizione, conosce numerose varianti, nella versione che vi proponiamo c’è il il piccante del peperoncino e la sapidità dell’acciuga.
INGREDIENTI:
500 g cime di rapa
400g orecchiette fresche
40 g pangrattato
4 acciughe sott’olio
aglio
ricotta dura di pecora
peperoncino
olio extravergine -sale -pepe
ELABORAZIONE:
Mondate le cime di rapa: separate le foglie dai gambi; eliminate i gambi più esterni e tagliate i più teneri in 2 per il lungo, poi decorticate il cuore e tagliatelo in 4 per il lungo. Riducete i gambi e il cuore in listerelle, poi tagliuzzate anche le foglie.
Lessate foglie e gambi delle cime di rapa in acqua bollente salata per 5’, quindi unitevi anche le orecchiette e portate a cottura molto al dente, ci vorranno circa 6’.
Tritate le acciughe e rosolatele in padella con uno spicchio di aglio, mezzo peperoncino e 5 cucchiai di olio per 5’, quindi trasferitevi le cime di rapa e le orecchiette appena scolate e insaporite tutto per 2’. Tostate il pangrattato in un’altra padella per un paio di minuti, poi versatelo sulla pasta e le cime; mescolate bene.
Distribuite nei piatti e completate, a piacere, con ricotta dura grattugiata a scagliette grossolane e una macinata di pepe nero.
Buon appetito !!!
Il Cuoco
Questa «coca» è tipica di Maiorca e di solito, e normalmente, è fatta in estate, tempo di albicocche, ma può essere fatto tutto l’anno.
TORTA ALLE ALBICOCCHE (*)
1 vasetto di yogurt bianco
1 misura (vasetto) d’olio vegetale di girasole
3 uova
2 misure di zucchero
3 misure di farina setacciata
1 bustina di lievito setacciata
1 pizzico di sale
Zucchero e cannella
Zucchero a velo
10 albicocche tagliate a metà e private del nocciolo, fresche o sciroppate (*)
ELABORAZIONE:
Lavorare tutti gli ingredienti liquidi (yogurt, olio e le uova), aggiungete gli altri ingredienti (zucchero, farina setacciata, la bustina di lievito e un pizzico di sale). Sbattere fino a ottenere un composto senza grumi. Versare l’impasto nello stampo, previamente foderato e imburrato. Distribuite i pezzetti di albicocca sopra l’impasto, cinque in linea retta, per quattro. Versare un po’ di zucchero e cannella in ciascuno dei pezzi di albicocca. Infornare a 180º per 30-35 minuti. Lasciate raffreddare 10 minuti prima di setacciare la torta con lo zucchero a velo. Servire pezzi con una metà di albicocca al centro.
(*) A Maiorca viene utilizzata la varietà di “galta roja”.
Buon appetito!!!
Il Cuoco
(*) Questa ricetta è dedicata in particolare a Magda R. Ho potuto convincere il Cuoco a darci una ricetta molto gelosa.
«Più se spende, peggio si mangia» così recita un motto popolare romano, perché la vera cucina romana si riassume in due parole: genuinità e semplicità.
Bucatini all’amatriciana, baccalà con peperoni, rognone in umido, fave con guanciale, ravioli alla romana, carciofi alla giudia sono piatti tipici della cucina della capitale d’Italia.
Oggi parleremmo di carciofi.
Carciofi in tegame
I carciofi in tegame o in padella sono molto gustosi e semplici, un perfetto contorno, adatto ad una cena in famiglia o con gli amici, sono un perfetto accompagnamento per pesce e carne e si possono servire sia tiepidi che freddi.
Le nonne dicevano che fritta era buona anche una suola di scarpa e in effetti non c’è metodo di cottura più goloso. I carciofi fritti però entrano di diritto nella top ten dei fritti più buoni: a fettine oppure a spicchietti, da mangiare bollenti scottandosi le dita per gola e impazienza. Il loro guscio croccante che racchiude il tenero cuore di carciofo li rende irresistibili. Vi abbiamo convinto a provare a farli in casa?
Carciofi, farina, olio e sale: non serve altro per preparare i carciofi fritti e la ricetta è davvero semplicissima. Dopo aver mondato gli ortaggi – quindi eliminato il gambo, le foglie esterne e le spine – tagliate i carciofi a fettine sottili e mettetele a bagno in una ciotola con dell’acqua fredda. Se volete, per evitare che anneriscano, potete usare aggiungere all’acqua un po’ di succo di limone o prezzemolo (per questa ricetta il cuoco preferisce l’erba) . Prelevate qualche fettina di carciofo (lasciando le altre nell’acqua) e asciugatele bene prima di passarle nella farina e scuoterle in un colino a maglie grosse per eliminare l’eccesso. Eseguite questi passaggi per poche fettine di carciofi alla volta. Scaldate abbondante olio per friggere e cuocete le fettine di carciofi per circa due o tre minuti: dovranno risultare dorati e croccanti. Scolate i carciofi, fateli sgocciolare su carta assorbente, salate e serviteli caldissimi.
I carciofi possono essere fritti in un’infinità di modi, come ad esempio in pastella o alla giudia, una ricetta tipica della tradizione ebraica romana in cui il carciofo assume la forma di una sorta di fiore. La ricetta classica dei carciofi fritti in realtà però è la più semplice, sebbene anche in questo caso esista una variante. Senza preparare una pastella, le fettine di carciofo possono essere passate nell’uovo sbattuto, dopo essere state infarinate. Un’altra variante da provare sono i carciofi fritti con il pangrattato al posto della farina. In questo caso il consiglio è di tagliare i carciofi a spicchietti e di sbollentarli prima di passarli nell’uovo e poi nel pangrattato.
Padella di carciofi e finocchi alle erbe aromatiche
Ingredienti
5
carciofi
1 finocchio
1 aglio o scalogno
1 limone
1
cucchiaino di Erba finocchio
1 cucchiaino di foglie di
Prezzemolo
1 cucchiaino di Maggiorana
olio e.v.o.
sale e pepe
Preparazione
Prepara una bacinella con acqua fredda, metti il succo di limone ed il limone stesso nell’acqua. Qui metterai i carciofi lavati per evitare che anneriscano prima della cottura.
Lava i carciofi togliendo le foglie esterne, troppo fibrose e dure, fino a quando non arrivi a quelle più tenere e più chiare. Pulisci anche il gambo ma senza toglierlo, taglia a metà, lava bene anche all’interno allargando leggermente le foglie tra di loro e immergi nell’acqua e limone.
Passa a pulire i finocchi. Per loro non è necessario immergerli nell’acqua e limone ma, come i carciofi. Tagliali a metà, poi a metà ancora e lava bene dentro.
In una capiente padella
antiaderente metti un filo di olio e fai stufare l’aglio o lo
scalogno.
Affetta finemente i finocchi e alla fine i carciofi
che avrai tolto dall’acqua con il limone e sciacquato rapidamente.
Metti le verdure in padella con le erbe aromatiche, aggiusta di sale e fai cuocere inizialmente con coperchio, per circa 15 minuti, e poi senza per altri 5 minuti.
Buon appetito!!
Il Cuoco
TEMPO DI PASQUA, TEMPO DI AGNELLO
Il pranzo di Pasqua è una vera tradizione per l’Italia. Ogni regione festeggia a tavola con menu composti da ricette tipiche legate alla ricorrenza.
Per pranzare in modo tradizionale, questi sono i suggerimenti per il menù: ad esempio servire come antipasto un misto di affettati, salumi e formaggi tipici locali affiancati dalle uova sode, divise in due parti. Una bella idea è quella di posizionare sul piatto di portata: uova, fette si salame e di formaggio come a formare dei cerchi concentrici.
Come primo piatto, basterà preparare le tagliatelle con il sugo del cosciotto di agnello cotto al forno con patate e piselli, pietanza che sarà servita come secondo, il sapore della pasta è arricchito da un’abbondante spolverata di pecorino romano.
La carne di agnello richiede rigorosamente una buona bottiglia di vino rosso, va benissimo un Chianti, dal profumo intenso e dal sapore asciutto ed armonico, secco e leggermente tannico.
Dolce tipico per eccellenza e simbolo, insieme all’uovo di cioccolato di questa festività, è la Colomba, la cui ricetta originale è legata alla città di Verona dalla fine dell’Ottocento. La Colomba è andata nel tempo a consacrarsi come prodotto Pasquale Nazionale, diventando merce non sono artigianale ma anche industriale. La ricetta più semplice con glassa di nocciole e mandorle si è andata arricchendosi, nel tempo, di varianti rispetto alla ricetta classica.
PASQUA A MAIORCA, TEMPO DI «PANADES E ROBIOLS I CRESPELLS»
A Maiorca anche l’agnello viene mangiato per Pasqua, ma il prodotto che viene consumato in tutte le case sono le tipiche «panades» e «robiols i crespells»
Ogni casa ha la sua ricetta, ma nella mia, di tutta la vita, è così:
Ingredienti per la pasta
1/2 bicchiere di succo di arancia spremuto al momento.
1 bicchiere di strutto
1 bicchiere di latte
1 bicchiere d’olio
2 tuorli
1 kg di farina
Il ripieno tipico è l’agnello, ma può essere anche maiale o piselli. Anche misti.
ROBIOLS I CRESPELLS
Ingredienti per la pasta
1 k di farina
300 g strutto
200 g zucchero
3 tuorli
1 bicchiere d’olio di oliva
1 bicchiere di succo di arancia spremuto al momento
I «robiols»vengono farciti con marmellata di zucca («cabell d’angel»), albicocca, ma anche un formaggio come la ricotta («brossat») si presta benissimo per realizzare queste ottime crostatine.
Buon appetito e buona Pasqua !!!
Il Cuoco
La Lombardia è stata brutalmente picchiata dal corona virus. È un momento triste per una regione cosi bella. Nel suo onore questo piatto tipico.
Forza e coraggio!!
OSSOBUCO CON RISOTTO (*)
1,2 kg 4 ossibuchi di vitello
300 g riso Carnaroli
400 g midollo
30 g cipolla
brodo di carne
farina
burro
aglio -prezzemolo
zafferano
limone
vino bianco secco
Grana padano Dop grattugiato
sale -pepe
ELABORAZIONE:
Incidete i bordi degli ossibuchi, in modo che non si arriccino in cottura; infarinateli, poi scrollateli e rosolateli in una padella con 30 g di burro e uno spicchio di aglio schiacciato con la buccia, che eliminerete.
Fateli insaporire per 3-4’ su ciascun lato, poi bagnateli con mezzo bicchiere di vino, salate e pepate, mettete il coperchio e fate cuocere per circa un’ora e 10’ bagnando ogni tanto la carne con un poi’ di brodo caldo. Tritate intanto un bel ciuffo di prezzemolo con mezzo spicchio di aglio sbucciato e la scorza di un intero limone (gremolada).
Iniziate a preparate il risotto circa 20’ prima che la carne giunga a cottura: rosolate la cipolla tritata in una casseruola con il midollo sminuzzato, tostatevi il riso e sfumatelo con uno spruzzo di vino bianco. Portate il risotto a cottura, in 16-18’, aggiungendo circa 900g di brodo, poco per volta, unendo negli ultimi minuti una bustina di zafferano sciolta in poco brodo.
Aggiungete la gremolada agli ossibuchi a fine cottura. Mantecate il risotto con una noce di burro e 30-40 g di grana grattugiato. Servitelo con gli ossibuchi, completando con il sugo di cottura.
Buon appetito!!
Il Cuoco
(*) ricetta lombarda, tratto dalla rivista La Cucina Italiana.
La mia casa è piena di libri e riviste italiane, soprattutto di cucina. Ho iniziato a cucinare per necessità, da molto tempo, e ora lo faccio per piacere. Sono amico del Cuoco e abbiamo pensato che in questi giorni di isolamento, confinati nelle nostre case, potremmo fare un «Grand Tour del Gusto» tra i due di ottime ricette d’Italia.
È difficile scegliere una ricetta per iniziare la sfida, ma qualsiasi percorso se inizia con il primo passo. Siamo in primavera, quindi, inizieremo con una ricetta con prodotti del tempo. L’agnello. Tempo di Pasqua.
Mentre sto facendo questo lavoro, la musica di Gino Paoli mi accompagna.
Buon appetito!!!
COSCIOTTO DI AGNELLO AL VERMOUTH CON ACCIUGHE, CIPOLLE E PISELLI (*)
Per 4 persone
1 cosciotto di agnello di circa 1,8 kg
2 spicchi d’aglio
2,5 dl di vermouth secco
6 cipolle bianche
4 acciughe sott’olio
400 g di piselli sgranati
olio extravergine d’oliva
2 o 3 rametti di menta
sale e pepe
ELABORAZIONE:
Sbucciate l’aglio e tagliatelo a fettine. Con un coltellino affilato praticante dei tagli profondi nel cosciotto e inseritevi le fettine d’aglio. Condite la carne con sale, pepe e un filo d’olio e massaggiatela bene con le mani, trasferitela in una teglia e infornatela a 220º per cerca 2o minuti.
Intanto, sbucciate le cipolle e tagliatele a metà in orizzontale. Bagnate il cosciotto con metà vermouth e unite le cipolle. Riducete la temperatura del forno a 180º e cuocete per 15 minuti bagnando il cosciotto col fondo di cottura.
Versate nella teglia il vermouth rimasto, le acciughe sgocciolate e infornate per altri 20 minuti. Aggiungete i piselli e cuocete ancora per 15 minuti. A fine cottura trasferite il cosciotto su un piatto caldo, copritelo con un foglio di alluminio e fatelo riposare per 10-15minuti. Prima di servire, riscaldate piselli e cipolle unendo qualche foglia di menta e disponeteli attorno al cosciotto.
Ricetta facile
Preparazione 15 minuti
Cottura 1 ora e 10 minuti
Buon appetito!!!
Il cuoco
(*)ricetta abruzzese, tratto dalla rivista Sale&pepe
L’altro giorno leggendo il giornale Ara.cat ho trovato questo interessante articolo firmato da JOAN CALLARISSA, sotto il titolo «Mina, la diva absent», in occasione del suo 80º anniversario.
La prima volta che ho sentito Mina è stato tempo fa, in viaggio di studio in Italia, ha piovuto molto, ma ho seguito ascoltando le sue vecchie canzoni. E alcuni nuovi. La sua voce mi fa ancora sognare. E come dice Callarissa «Millor tancar els ulls, escoltar-la ben fort i confiar que aviat ens podrem tornar a enamorar de la vida».
MINA, LA DIVA ASSENTE
La cantante italiana si è ritirata nella sua torre d’avorio per 40 anni, dal momento che non riesce ancora a trovare locali notturni e da lì può ferire il nostro desiderio.
Amare senza essere amato e non amato affatto è la cosa peggiore che ti possa accadere, la più disperata. Forse è per questo che la dolce assenza di Mina, innaffiata da nuova musica quasi ogni anno, a volte è anche molto amara. Perché mentre continua ad innamorarsi, non osa dirti che non la vedrai mai più dal vivo. Sono trascorsi 42 anni da quando ci ha piantati. Per più di quattro decenni, siamo stati coinvolti in un crudele interregno in attesa di una risposta come Dio ordina o respinge una volta per tutte.
In questo vicolo cieco è cresciuto il mito di una donna che questa settimana ha 80 anni nella sua prigionia auto imposta. O meglio, imposta dal suo enorme successo, che era inevitabile se avessimo preso in considerazione tutti gli ingredienti che l’artista riunisce: potenza vocale, versatilità, espressività e stile così particolari da renderlo moderno né fuori moda. Cioè è ancora il classico che non ha mai smesso di essere in 60 anni di gare.
Anna Maria Mazzini,è così che i suoi genitori l’hanno messa al mondo, è nata in una famiglia borghese in Lombardia a Cremona. Grazie a sua nonna Amelia, che era una cantante lirica, divenne presto contagiata dalla musica. Giovanissima inizia dove nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe finita, con una carriera di oltre 1.500 canzoni registrate e milioni di copie vendute.
In effetti, tutto è iniziato per scherzo, poiché aveva solo 18 anni quando ha cominciato a cantare in modo che i suoi amici smettessero di insistere. L’ha fatto nel leggendario locale La Bussola, a Marina di Pietrasanta in Toscana, quando era ancora giovanissima.È riuscita a imporsi con il colpo di scena della canzone Tintarella di luna e nessuno avrebbe pensato che, col tempo, questo sarebbe stato un semplice aneddoto.
Nel 1960 pubblicò il disco indimenticabile “Il paradiso in una strofa” – la famosa canzone omonima, per esempio, da una scena di Goodfellas di Martin Scorsese – con cui partecipò al Festival di Sanremo, dove fece ritorno l’anno successivo, quando cantava “Le mille bolle blu”. La follia aveva iniziato la sua strada e non era rimasto nulla per il salto al trampolino finale, il piccolo schermo, dove apparve nel 1958 interpretando “Nessuno come nessun altro”. La RAI in bianco e nero conquistò il cuore degli italiani attraverso la passione e il romanticismo, i due approcci all’amore che toccò meglio.
Ma mentre continuava a registrare programmi televisivi e ad incidere dischi che schiantavano i suoi avversari, la sua vita personale si interpose tra lei e la sua carriera meteorica, trasformandola in una notte nella cantante con più successo e nel simbolo di un’epoca. Senza essere sposata nel 1963 rimase incinta dell’attore Corrado Pani che, a differenza di lei era sposato. Ma la colpevole era Mina, che fu condannata per ostracismo dalla RAI, che la costrinse a lavorare in Germania per mantenere suo figlio, Massimiliano. Due anni di lettere di cittadini alla televisione pubblica la riportarono indietro, attraverso la porta grande.
Se prima aveva avuto successo, ora era un avvenimento sociale. Ha continuato ad avere successi come Città vuota (È un solitario) (1965), Un anno d’amore (1965), Se telefonando (1966) o Un colpo al cuore (1968) e il pubblico la adorava anche fuori dal suo paese, dal momento che non è tornato né davanti agli inglesi, né agli spagnoli o ai portoghesi – ottima la sua versione dell’Aguas di Março di Jobim. Ha anche cantato con grandi come Lucio Battisti o il suo caro amico Adriano Celentano. Ma una delle esibizioni più popolari è stata con Alberto Lupo, con il quale ha cantato “Parole, parole”. Era già il 1972 e quella dichiarazione di una donna che prendeva a calci il galante era la base più intima di una Mina.
Senza abbandonare sue gonne corte, le sopracciglia, le ciglia XL o il trucco drammatico, tutto sembrava in ordine, fino a quando senza preavviso – né il direttore né il suo tecnico del suono, dicono – nell’agosto 1978 è scomparsa dal palcoscenico, dai mass-media e dalla vita pubblica fino ad oggi. Stava scappando da un paese che le aveva dato tutto, ma non le aveva permesso di vivere. Era stata circondata da paparazzi e polemiche per vent’anni. Inoltre, nel 1971 ha avuto un’altra figlia, Benedetta, dal giornalista Virgilio Crocco.
Un addio che non poteva essere discreto
Ma anche l’addio sarebbe stato controverso. Erano trascorsi 15 anni dalla prima punizione, ma Mina era ancora troppo avanti. Nello stesso 1978, ha pubblicato “Ancora, ancora, ancora”, un tema indispensabile della sua carriera con un video. La RAI, tuttavia, ha considerato la clip troppo sensuale ed ha evitato di trasmetterla a schermo intero, suddividendola in piccoli video, che ritrasmettevano l’intero video. La clip mostra solo il suo canto in primo piano, la lucentezza delle labbra e un’illuminazione color rame. Tuttavia, il suo magnetismo era così grande che la censura lo consideró violento. Bastava ridicolizzarlo ancora una volta e renderlo di nuovo indissolubile nella recente storia popolare del paese.
Con il suo brusco addio, sembra che Mina non vedesse l’ora di comportarsi come Pepa Flores e scomparire del tutto. Ma amava la musica, e ciò che questa donna discreta ma libera non poteva sopportare era il giudizio del pubblico. Da Lugano (dove vive dal 1966) ha continuato a produrre musica. Sono passati quasi 40 anni dal disco dell’anno. L’ultimo è del 2019 e il penultimo “Paradiso” del 2018, in cui rivede i suoi successi con Battisti. Grazie, destino, per esserti unita a loro!
Gli ultimi album all’avanguardia pieni di «boleros», bossa nova, jazz o persino musica sacra, ci hanno consolato della sua assenza. Ha collaborato con artisti di tutto il mondo desiderosi di cantare con lei.La cosa che ce la fa sentire più vicina è uno stream del 2001 durante la registrazione di un album dal vivo in studio – Oggi sono io su YouTube, per favore – che ha ricevuto 15 milioni di hit alla volta. .
Si può dire che Mina è presente o assente? Abbiamo l’amara speranza che torni o un dolce addio pieno di novità? Domande a cui non abbiamo potuto rispondere. Ma in tempi di così tanta incertezza, potrebbe essere meglio non farsi tante domande. Meglio chiudere gli occhi, ascoltarla e sperare che presto potremo innamorarci di nuovo della vita.
(*) Traduzione di Cecilia de Grazia
MINA, LA DIVA ABSENT
ARA.cat/ Joan Callarissa
80è aniversari
La cantant italiana fa 40 anys que viu retirada a la seva torre d’ivori suïssa, des d’on encara treu discos i des d’on perpetua el nostre enyor
Estimar sense que et diguin ni que també t’estimen ni que no t’estimen gens és el pitjor que et pot passar, el més desesperant. Potser per això la dolça absència de Mina, regada amb música nova pràcticament cada any, a vegades també resulta molt amarga. Perquè mentre segueix enamorant-te no s’atreveix a dir-te que no la veuràs mai més en directe. Des que ens va plantar ja han passat 42 anys. Més de quatre dècades palplantats en un cruel interregne esperant ser correspostos com Déu mana o rebutjats d’una vegada per totes.
En aquest impàs hem fet gran el mite d’una dona que aquesta setmana ha fet 80 anys instal·lada en el seu captiveri autoimposat. O més ben dit, imposat pel seu enorme èxit, que era inevitable si tenim en compte tots els ingredients que reuneix l’artista: potència vocal, versatilitat i una expressivitat i un estil tan particulars que han fet que ara com ara no sigui moderna ni tampoc estigui passada de moda. És a dir, que segueix sent el clàssic que mai ha deixat de ser en 60 anys de carrera.
Anna Maria Mazzini, que és com li van posar els seus pares, va néixer en una família burgesa de la Llombardia instal·lada a Cremona. Gràcies a la seva àvia Amelia, que era cantant lírica, aviat es va contagiar d’amor per la música. Uns inicis innocents que ningú s’hauria imaginat mai que acabarien en una carrera de 1.500 cançons enregistrades i milions de còpies venudes.
De fet, tot va començar mig en broma, ja que només tenia 18 anys quan es va posar a cantar perquè els seus amics deixessin d’insistir-hi. Ho va fer tan bé -al ja mític local La Bussola, del poble toscà de Marina di Pietrasanta- que al cap de res ja era una icona juvenil. Triomfava amb el twist gràcies a la cançó Tintarella di luna i ningú pressentia que allò, amb el temps, quedaria en una simple anècdota.
El 1960 va treure l’inesborrable disc Il cielo en una stanza –la famosa cançó homònima forma part, per exemple, d’una escena de la pel·lícula Goodfellas, de Martin Scorsese– després d’haver passat pel Festival de Sanremo i abans de tornar-hi l’any següent, quan hi va cantar Le mille bolle blu. Començava la bogeria al carrer i li quedava res per al trampolí final, la petita pantalla, on ja havia aparegut el 1958 interpretant com ningú Nessuno. A la RAI en blanc i negre es va guanyar el cor dels italians a còpia de passió i romanticisme, les dues aproximacions a l’amor que millor ha tocat.
Però mentre no parava de gravar gales televisives i discos que feien pols les seves adversàries, la seva vida personal es va interposar entre ella i la seva meteòrica carrera, cosa que la va convertir de la nit al dia en més que una cantant d’èxit: en el símbol d’una època. Sense estar-hi casada, el 1963 es va quedar embarassada de l’actor Corrado Pani, que a diferència d’ella sí que estava casat. Però qui ho va pagar va ser Mina, que va ser condemnada a l’ostracisme per la RAI, que la va abocar a anar a treballar a Alemanya per poder mantenir el seu fill, Massimiliano. Dos anys de cartes de ciutadans a la cadena pública van aconseguir que tornés. Evidentment, per la porta gran.
Si abans havia tingut èxit, ara tota ella ja era un esdeveniment social. Va seguir traient hits com Città vuota (It’s a lonely yown) (1965), Un anno d’amore (1965), Se telefonando (1966) o Un colpo al cuore (1968) i el públic l’adorava. També fora del seu país, ja que no es feia enrere ni davant l’anglès ni tampoc del castellà o del portuguès -genial la seva versió de l’ Aguas de Março de Jobim, per cert-. També va cantar de la mà de grans com Lucio Battisti o el seu íntim amic Adriano Celentano. Però una de les actuacions més populars la va dur a terme amb Alberto Lupo, amb qui va cantar el Parole, parole. Era ja el 1972 i aquella declaració d’intencions d’una dona fent patir el galant eren les bases més internes d’una Mina a la qual havien castigat però que no es penedia de res.
Sense abandonar les faldilles curtes, les celles depilades, les pestanyes XL ni el seu maquillatge dramàtic, tot semblava en ordre fins que sense avisar -ni al mànager ni al seu tècnic de so, diuen- l’agost del 1978 va desaparèixer dels escenaris, dels mitjans i de la vida pública. I fins avui. S’esfumava d’un país que l’hi havia donat tot però que no l’havia deixat viure. Portava vint anys envoltada de paparazzis i de polèmica. A més, el 1971 havia tingut una altra filla, Benedetta, del periodista Virgilio Crocco.
Però l’adeu també seria polèmic. Havien passat 15 anys del primer càstig, però Mina seguia anant massa avançada. Aquell mateix 1978 va editar Ancora, ancora, ancora, un tema imprescindible de la seva carrera. Per ell mateix i pel seu videoclip. La RAI, però, va considerar el clip massa sensual i va evitar difondre’l a pantalla completa i la va dividir en moltes petites pantalles, en les quals s’emetia l’original. Al clip només hi surt ella cantant en primer pla, gloss als llavis i una il·luminació en tons coure. No obstant això, és tant el seu magnetisme que als censors els resultava violent. Prou per tornar a fer el ridícul i convertir-la altre cop en part indissoluble de la història popular recent del país.
Amb el seu brusc comiat, podria semblar que Mina estaria desitjant fer com Pepa Flores i desaparèixer del tot. Però ella estimava la música, el que no podia suportar més aquella dona discreta però lliure era el judici públic. Des de Lugano (on viu des del 1966) no ha deixat de produir música. Ha estat gairebé 40 anys anant a disc per any. L’últim és del 2019, i el penúltim, Paradiso, del 2018, en què repassa els seus èxits amb Battisti. Gràcies, destí, per ajuntar-los!
D’àlbums de portades avantguardistes farcits de boleros, bossa nova, jazz o fins i tot música sacra, és del que ens ha proveït des de la seva absència. També de col·laboracions amb artistes d’arreu del món que malden per cantar amb ella. Això és amb el que hem hagut de passar. El més similar a sentir-la que hem tingut és un streaming el 2001 mentre gravava un àlbum en directe a l’estudi -busqueu Oggi sono io a YouTube, sisplau- que va fer caure el servidor amb 15 milions de peticions d’accés alhora.
Amb tot, ¿podem dir que Mina està present o està absent? ¿Patim l’amarga esperança que torni o un dolç comiat farcit de novetats? Preguntes que no aconseguim respondre’ns. Però en temps de tantes incerteses, potser millor deixar de fer-se tantes preguntes. Millor tancar els ulls, escoltar-la ben fort i confiar que aviat ens podrem tornar a enamorar de la vida.