IN PREPARAZIONE: CUCINA FRESCA ITALIANA CON UN TOCCO MAIORCHINO
FOCACCIA DI PUGLIA
COCA DE TRAMPÓ
ESTOPETA CON ARINGA
PENNETTE AL LIMONE
Tante idee da mettere in pratica nel prossimo corso di cucina italiana. Cucina estiva. Questa volta con un tocco di cucina maiorchina, con alcune ricette tipiche come la coca de trampó, la estopeta o la coca d’albercocs.
Sarà nella seconda metà di luglio. Il cuoco si mette al lavoro.
SABATO 10 GIUGNO, LA GRANDE SAGRA DELL’ALBICOCCA DI PORRERES
PROGRAMMA: ALLE 16:30 FINO 22:30
LE ALBICOCCHE: FRAGRANZE ORIENTALI
Ad un tratto tutti volevano l’albicocca. Il dolce frutto, che gli abitanti dell’Europa centrale associavano subito all’assolato sud, conobbe d’improvviso un vero e proprio boom. I maiorchini stessi mangiavano i frutti freschi o essiccati, e li sport avano in Europa anche sotto forma di marmellata oppure di concentrato. Soprattutto gli inglesi, o francesi e gli scandinavi sembravano quasi impazziti per questo frutto solare.
Eppure le albicocche hanno una lunga storia. In Cina erano conosciute già nel III millennio a. C. In tempi antichi, il profumato frutto dell’albero delle rosacee giunse in Europa, e con gli arabi prosegui la sua marcia trionfale fino a Maiorca. Fu proprio da questi che l’albicocca ricevette il nome che ha oggi; infatti gli arabi la chiamavano al barkuk, da cui deriva il termine maiorchino di albercoc; in Spagna, poi, questo frutto ha preso il nome di albaricoque.
Fino al XIX secolo le albicocche non erano esattamente un articolo di massa, questi frutti venivano coltivati su terreno arido e quasi esclusivamente per il consumo personale, non ultimo in considerazione del breve periodo di raccolta e della rapida deperibilità. Dopo che la coltivazione prese piede alla fine del XIX secolo, la produzione di albicocca a Maiorca andò magnificamente. Fino agli anni Settanta del Novecento, le albicocche erano molto apprezzate; però anche ad altri stati venne l’idea di sfruttare questo commercio: ben presto, i frutti aranciati di Maiorca non poterono più reggere alla concorrenza di Marocco, Tunisia e Turchia, che avevano prezzi più bassi. Anche se con un certo dispiacere, negli anni Novanta i maiorchini dovettero distruggere la produzione annua di cinquantamila tonnellate di albicocche, poiché la raccolta, l’imballaggio e il trasporto incidevano troppo sui costi. Per fortuna i maiorchini non videro in questo un motivo per rinunciare a questo frutto tanto versatile, tanto più che esso è un ingrediente di primo piano della cucina maiorchina; nel desert, sotto forma di composta, come coronamento delle tradizionali ensaïmades e come complemento di sostanziosi piatti di carne. O semplicemente solo come “grande orecchie”; con la denominazione di orejón, si vendono a Maiorca delle albicocche secche molto grandi, che vengono dimezzate per il lungo e vengono cosi ad assomigliare a gigantesche orecchie.
A giugno le albicocche vengono colte dall’albero e trasferite in grandi cesti. Eppure Porreres non è esattamente l’ombelico del mondo, però tutto il paesino è una festa. È sa fira di Porreres
IL FIORENTINO FRANCESCO RECAMI INIZIA LA SUA SERIE SULLA UNA GRANDE ABITAZIONE MILANESE
La casa di ringhiera (o casa a ballatoio) è una tipologia di edilizia popolare che prevede la compresenza, su ciascun piano di un edificio, di più appartamenti che condividono il medesimo ballatoio o balcone. Tale ballatoio, che corre per l’intera lunghezza dell’edificio, tipicamente funge da via di accesso alle singole unità immobiliari ed è in genere destinato ad un uso condiviso da parte di tutti i condomini. Altrettanto condiviso è l’uso del cortile interno, nel quale un tempo erano situati gli unici servizi igienici dell’edificio.
Lo schema architettonico delle case di ringhiera, di solito a non più di tre piani, si è particolarmente diffuso nell’Ottocento nei casamenti popolari delle città dell’Italia settentrionale, in particolare a Milano e Torino. Negli anni dell’immigrazione interna conseguenti al boom economico ha costituito in molti casi la prima sistemazione abitativa per i nuovi immigrati giunti nelle metropoli del Nord.
Durante il boom economico degli anni ’60, la prima sistemazione di tutti gli immigrati al Nord Italia è stata la casa di ringhiera: l’abitazione più abbordabile economicamente. Di fatto, questi appartamenti erano case popolari in cui vivevano più famiglie in spazi abbastanza ristretti con i servizi necessari.
LA CASA DI RINGHIERA
Amedeo Consonni, tappezziere in pensione, vive in una casa di ringhiera, arredata, grazie alla sua arte, come prezioso boudoir. Si dedica, nel tempo libero, ad un ascetico collezionismo: archiviare notizie su delitti feroci e violenti, provenienti da qualsiasi fonte. E quando dalle cronache rimbomba dappertutto il caso dello strano omicidio «della Sfinge», è immediato per lui occuparsene. Un egittologo dilettante è stato ucciso, il cadavere mutilato ridotto a mimare una statua egizia. Nel frattempo davanti alla sua finestra sul cortile, trascorre la giornata degli altri inquilini. Ci sono Erika e Antonio, nel monolocale vicino. C’è il vecchio De Angelis, che bada solo alla sua Opel. La professoressa Mattioli, cinquantenne affettuosa, attraente anche per l’alone di mistero che la circonda. Si arrabatta la famiglia dei bambini Gianmarco e Margherita: il padre è alcolizzato e la madre cerca di difendere eroicamente il decoro. Su questo mondo, misero ed egoista ma, a guardarlo senza rancore, commovente nelle sue inutili passioni, improvvisamente cala un’atmosfera delittuosa. Negli appartamenti di ringhiera scompare un uomo e appare un cadavere di donna. E questo muove tutto un vento di equivoci e di sospetti che sconvolge gli inquilini. E mentre i delitti del cortile marciano caoticamente verso una loro beffarda rivelazione, confuso, frastornato e travolto dagli eventi, Amedeo, senza volerlo, guida l’indagine alla verità.
FRANCESCO RECAMI, FIRENZE 1956
Scrittore fiorentino, Francesco Recami pubblica due titoli con Mondadori Education: Assassinio nel Paleolitico e Trappola nella neve (2000). Con Bianca Sferrazzo nel 1998 scrive per Giunti Celti e Vichinghi. Ma la sua popolarità arriva con l’editore Sellerio, e particolarmente con il ciclo di romanzi dedicati al pensionato Amedeo Consonni: L’errore di Platini (2006), Il correttore di bozze (2007), Il superstizioso (2008, finalista al Premio Campiello 2009), Il ragazzo che leggeva Maigret (2009, con il quale vince il Premio Scrittore Toscano), Prenditi cura di me (2010), La casa di ringhiera (2011), Gli scheletri nell’armadio (2012), Il segreto di Angela (2013), Il caso Kakoiannis-Sforza (2014), L’uomo con la valigia (2015), Morte di un ex tappezziere (2016), Sei storie della casa di ringhiera (2017), Il diario segreto del cuore (2018) La verità su Amedeo Consonni (2019). Il suo racconto «Il mostro del Casoretto» appare nell’antologia Sellerio La scuola in giallo, del 2014. Del 2015 è invece il romanzo Piccola enciclopedia delle ossessioni, sempre per la casa editrice palermitana. Nel 2017 inizia a scrivere la serie Commedia Nera di cui fanno parte: Commedia Nera 1 (Sellerio, 2017), La clinica Riposo & Pace (Sellerio, 2018), L’atroce delitto di Via Lucini (Sellerio, 2019), La cassa refrigerata (Sellerio, 2020) e L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra (Sellerio, 2021).
L’OPERA PRIMA DI FABIO MESSINA, LETTURA D’APRILE DI GDLI
Due le cose che ci hanno colpito di «E niù làif»: la profondità e l’originalità della trama e la qualità della scrittura, elemento oggi difficile da reperire nel ridondante panorama editoriale, non solo locale.
Fabio Messina è nato nel 1971 ad Alessandria, dove risiede tuttora. “E niù làif” è il suo primo romanzo pubblicato e ha diversi altri progetti letterari in corso di stesura. Oltre a coltivare la passione per la scrittura, ama dipingere e fotografare.
Alessandrino, alla sua prima opera letteraria, frutto di una lunga e prolifica gestazione, si definisce un “burocrate di giorno, affetto da scrivete perniciosa con le conseguenze del caso, ora anche di natura editoriale.”
ATTENZIONE!!!
L’INCONTRO SARÀ L’ULTIMO GIOVEDÌ 27 D’APRILE A LA TERTÚLIA CAFÈ TEATRE ALLE ORE 19:00.
Prima, a marzo, giovedì 30, a la Tertúlia Cafè Teatre, allo stesso tempo, il GdLi metteremo in comune CATERINA VA IN CITTÀ, lavoro scritto per Francesco Bruni e Paolo Virzì.
Venerdì 17, alle ore 18:30, il Gruppo di Conversazione discuterà e parlerà di Intercambio di libri con la professoressa Cecilia da Grazia. l’incontro si svolgerà nella caffetteria del hotel Saratoga.
Finalmente ricordiamo che il 9 di marzo alle ore 18:30 se terrai il corso di cucina «Venezia e il suo pesce»